Esiste un futuro per i giovani italiani?

martedì 27 dicembre 2011

La voce dell'artista: la poetessa



Ninnj Di Stefano Busà, scrittrice, giornalista, critica, poetessa

Pensa ogni tanto a cosa vuol dire essere italiano e/o appartenere ad un Paese come l’Italia?
Essere italiano in questo periodo storico vuol dire “arretratezza strutturale, formale, e di pensiero”: lo schema è piuttosto piatto, non si notano scatti d’ala, dovremo aspettare i risultati di quest’ultima pletora di burocrati e tecnocrati per visualizzare un qualche movimento che regoli il meccanismo inceppato. Troppo e per troppo tempo, abbiamo sottovalutato le inadempienze, le incongruenze, la burocrazia, l’inefficienza del sistema-Italia. Abbiamo perso il treno. Per il momento siamo fermi sul binario in attesa che ne passi un altro. E questa volta, badare bene di non perderlo, perché sarebbe la fine. La verità è che non si affrontano i problemi dal lato strutturale, non si aggiustano le situazioni, non si effettuano tagli equi, si fanno arrangiamenti che toccano solo le tasche dei poveri cristi, sempre gli stessi, in barba ai miliardari che hanno patrimoni ingenti e godono anche dello “scudo fiscale”.

Che cosa ritiene identifichi l’essere italiano, l’appartenere ad un Paese come l’Italia?
Il nostro è un Paese meraviglioso invidiato da tutti, (disprezzato, magari, dai più che non hanno le nostre stesse qualità, fantasie, bellezze...): siamo un popolo grandemente solidale, tollerante e generoso e su queste formule dobbiamo riappropriarci della nostra vera identità, rifarci il buon nome sbiadito e tirare innanzi, ancora una volta, come se fossimo usciti da un’altra grande guerra, questa volta quella economico-finanziaria fatta di Btp di Bond, di Spread, una finanza in mano ai magnati, alle banche, ai grandi speculatori, ai poteri occulti.

Ci sono aspetti del nostro Paese che La rendono orgogliosa di appartenervi? 
Per me, l’orgoglio di essere cittadina italiana si è andato stemperando, ormai siamo incorniciati come un popolo di mentecatti, di buonisti ad oltranza, di succubi. La parte migliore di noi ci dice di non arrenderci, ma sarà sufficiente dire no e basta, ma poi a chi lo gridi? Nessuno ci crede più, a chi rivolgere quindi il proprio NO?
Fin’ora ogni governo ha fatto la sua strage, il suo danno irrimediabile.Saprà questo Governo provvisorio, fatto ad hoc per la circostanza, venuto dal nulla (alieno alla politica ufficiosa e spocchiosa, alla casta disonorata e corrotta (molti deputati inquisiti o finiti nelle maglie della giustizia) a programmare un capovolgimento di situazioni ataviche, di immobilismi secolari, di veti incrociati, di congreghe cronicizzate, di malavita, di corruzione, di malagiustizia?

Quali aspetti dell’Italia La deludono o La fanno arrabbiare?
Molte, troppe cose deludono di questa Italia indolente, pasticciona, inerte, arretrata, fatalista, che sembra aver sempre creduto che i problemi li risolvano gli altri o, peggio, si risolvano da soli.

Ha qualche pronostico in mente sul futuro dell’Italia?
Essere Italiani oggi non è un vanto.  Ma dobbiamo sperare! sperare! La speranza non muore, si piega, ma non si spezza. Traduciamo dunque il pessimismo in moderato ottimismo, guardiamo al bicchiere mezzo pieno, anziché a quello mezzo vuoto. E che Dio ci aiuti, ce la mandi buona. L’uomo poco prima di sprofondare ha sempre fatto un passo indietro per non inabissarsi. Staremo a vedere.

Ha qualche consiglio da dare al nostro Paese e/o alle persone che lo compongono?
Una delle ricette possibili è quella di rimboccarsi le maniche, non essere schizzinosi coi lavori più umili e comuni, amare la terra e i suoi derivati (quindi un ritorno magari parziale a coltivare la terra degli antenati), per non farci sovraffollare il territorio da una pletora sempre più enorme di immigrati, che aggiungono la loro miseria alla nostra, portando i loro guadagni fuori dall’Italia, alle famiglie lontane. I tempi sono finiti: le vacche sono state munte a tal punto da non avere più le mammelle. A buon intenditore!...        

Thema

lunedì 19 dicembre 2011

Le parole del lavoratore: storia di un magazziniere in nero


Alessandro, 22 anni, magazziniere in nero

Pensa ogni tanto a cosa vuol dire essere italiano e/o appartenere ad un Paese come l’Italia?
Penso che fino a qualche anno fa avrei detto di essere nel posto più bello del mondo, ma negli ulitmi dieci anni potrei dire che si sta meglio all'inferno. Una volta era degno di orgoglio essere italiani per arte, storia, cultura,... Ora ci etichettano come mafiosi berlusconiani[1]e stupidi: siamo la barzelletta d'Europa e del mondo. Ultimamente penso sia una sfortuna essere italiani.
  
Che cosa ritiene identifichi l’essere italiano, l’appartenere ad un Paese come l’Italia?
Sicuramente l'astuzia, il genio, il fatto di volere arrivare sempre in alto e la voglia di vivere che solo noi abbiamo e questo ci distingue da tutti. 
  
Ci sono aspetti del nostro Paese che La rendono orgoglioso di appartenervi?
L'arte, la cucina, la storia, i prodotti nostrani e lo sport: nell'insieme molti aspetti mi rendono orgoglioso, eccetto naturalmente la politica, che è ridicola.

Quali aspetti dell’Italia La deludono o La fanno arrabbiare?
Mi deludono la politica, l'istruzione, le forze del ordine, i giornalisti, la tv: sembra di stare in una dittatura senza diritti ma solo doveri, senza diritto di parola, e intanto ci mangiano in testa e non riusciamo nemmeno a tentare di ricostruire il Paese. In particolare credo, però, che il nostro primo grande problema sia il signoraggio bancario, senza quello già vivremmo una realtà diversa: senza debito pubblico e senza tasse. Ancora più indegna è l'ignoranza delle persone che guardano i reality, assasini esaltati come superstar, finti artisti e tutta quella serie di cose indicibili che ci vengono presentare tutti giorni da quel macchinario televisivo che non fa altro che lobotomizzarci sempre più.  

In che modo viene considerato il Suo modo di vedere le cose nel nostro Paese?
Io cerco di sopravivvere e lottare per i miei diritti, ma senza ideali politici, perchè essi sono morti con tutti i diritti di questo Stato. Per questo credo di essere visto come un ribelle un po' estremista, ma quello che predico non è nient'altro che la libertà. Forse sono un accenno di colore in un mare nero.
 

Ha qualche pronostico in mente sul futuro dell’Italia?
Se non agiamo con una rivoluzione subito finiremo peggio di qualsiasi altra dittatura.

Ha qualche consiglio da dare al nostro Paese e/o alle persone che lo compongono?
Dovremmo fare come in Islanda: fermarci tutti e protestare fino a quando non riusciremo a creare una nazione realmente gestita dai cittadini. Un consiglio in particolare lo dò, però, ai politici: farsi un esame di coscienza e mettersi nei panni dei poveri cittadini, niente di più.


[1] L’intervista è stata realizzata poco prima della caduta del Governo Berlusconi.

giovedì 8 dicembre 2011

Lo Stivale tra natura, poetica, tradizioni e arte


Sono trascorsi 150 anni dall'unità della nostra nazione che seppur così giovane politicamente, racchiude una storia che la rende unica proprio per la complessità degli eventi che l'hanno composta: una storia, o meglio diverse storie, che affondano le loro radici anche in complesse tradizioni che si sono man mano sovrapposte senza mai annullarsi completamente. Tutto questo in una splendida e molteplice varietà di paesaggi che incorniciano delle delizie architettoniche anch'esse testimoni di questa lunga vicenda storica che rende il nostro Paese una meta unica per chiunque cerchi un ristoro dell’anima, favorendo spesso anche l’ispirazione per intuizioni poetiche.
I cipressi che a Bolgheri alti e schietti van da San Guido in duplice filar,  
quasi in corsa giganti giovinetti  
mi balzarono incontro e mi guardar
Il dialogo instaurato da Carducci con i suoi ricordi legati alla natura che circonda il suo viaggio, segna un passo fondamentale nella visione del tempo che scorre ineluttabile: il desiderio di fermare il treno, scendere e tornare a godere della spensieratezza avuta in giovinezza, si contrappone al percorso verso Bologna con il paesaggio che scorre lasciando spazio alla cruda analisi di una realtà diversa:
Ma, cipressetti miei, lasciatem'ire:
or non è più quel tempo e quell'età
Non basta la celebrità a fare felice un uomo che è stato sicuramente protagonista dell’Italia postunitaria come testimonia l’ideologico sodalizio con Crispi e il suo cammino politico concluso con la nomina a senatore nel 1890. Sono molti i traguardi raggiunti dal poeta di Pietrasanta, ma non sufficienti a dargli quella serenità descritta dai cipressi nei versi che seguono; è un confronto che rileva ancora maggiormente la vacuità dei successi di Carducci nello specifico, ma dell’umanità in generale, rispetto a quanto la natura sia in grado di offrire con i suoi paesaggi rilassanti:
Vedi come pacato e azzurro è il mare, 
come ridente a lui discende il sol!  
E come questo occaso è pien di voli, 
com'è allegro de' passeri il garrire! 
A notte canteranno i rusignoli: 
Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire
Fermarsi, ammirare e riflettere dunque: una considerazione di alto valore non solo poetico, ma che potrebbe essere riletta come monito di valorizzazione che non si limiti esclusivamente agli splendidi scorci paesaggistici sopra descritti; nel componimento è presentata, infatti, solo una parte della Maremma toscana, ma non bisogna dimenticare come l’Italia possegga meraviglie naturali in parte preservate all’interno dei parchi nazionali, in parte ritrovabili in ogni regione che, proprio per questo, ne fa una caratterizzazione esclusiva.
Sono ancora i versi del poeta toscano a regalarci una visione d’insieme dello Stivale colto nella corsa leggendaria del re Teodorico verso l’amara fine per lui disegnata da forze superiori:
Ecco, il dorso d'Appennino
fra le tenebre scompar, 
e nel pallido mattino 
mugghia a basso il tosco mar. 
Ecco Lipari, la reggia
di Vulcano ardua che fuma
e tra i bòmbiti lampeggia 
de l'ardor che la consuma
Una ricchezza naturalistica quale importante cornice in cui ritrovare, seguendo Carducci, un percorso non solo intimo, ma anche storico-culturale nazionale che è necessario interpretare nel suo insieme: un’intrigante chiave di lettura per comprendere le tradizioni come matrici di un’identità sicuramente multiforme, ma da conglobare oggi in una finale unità; impossibile non pensare, infatti, come il patrimonio artistico e architettonico non possa che segnare nel suo complesso, una solida base su cui costruire l’orgoglio di essere parte di una nazione che racchiude, come in uno scrigno, ricchezze da preservare e valorizzare.
Sarebbe acritico, d’altra parte, non evidenziare come l’Italia sia stata crogiolo di culture profondamente diverse, spesso in lotta tra loro; però è proprio dal loro incontro-scontro, o sovrapposizione, che si è plasmata l’eredità di tradizioni che in buona parte, esistono ancora oggi come il risultato di una lunga evoluzione che le ha viste modificarsi più nella forma che nella sostanza. Esemplificativo potrebbe essere il fenomeno del sincretismo cultuale nell’incontro dell’antica religione pagana di Roma con il nuovo credo cristiano-cattolico: antiche divinità protettrici di un’arte o disciplina, sono state solo sostituite da santi in un processo di sovrapposizione di festività sentite dal popolo[1].
E le tradizioni sono state accompagnate, nel loro nascere e svilupparsi, da un’edificazione architettonica che le ha contestualizzate finanche nel riutilizzo degli stessi ambienti, rappresentando culti tra loro apparentemente distanti, ma in realtà come abbiamo visto, visceralmente legati. Su tutti valgano i casi della Cattedrale di Siracusa e della Chiesa dei Catalani a Messina che in origine erano templi greci: il primo in onore di Atena e il secondo edificato per aggraziarsi Posidone.
In conclusione credo che sia necessario guardare con occhi diversi il nostro Stivale e cioè come un complesso di scorci naturali, strutture architettoniche e tradizioni che ne fanno una risorsa culturale di primo livello di cui andare orgogliosi, ma che richiede un sincero impegno per il suo mantenimento e la sua valorizzazione.

                     Marco Provenzano


[1] Nel V secolo fu ad opera di Papa Gelasio I la sostituzione degli antichissimi Lupercalia con la Festa della Candelora della Vergine poiché i due riti non soltanto avevano valore purificatorio, ma anche la data di metà febbraio, in origine era la medesima.