Esiste un futuro per i giovani italiani?

martedì 2 agosto 2011

Al di là della vendetta

La significativa vicenda che coinvolge Ameneh Bahrami, donna che, dopo essere stata accecata e sfigurata con l'acido a seguito di un rifiuto di matrimonio, ha deciso di  non vendicarsi del suo aggressore, ha molto a che fare con il tema del Male. Quella di Ameneh è una storia di dolore sia fisico che psichico, di sofferenza, ma anche di fede e perdono, di amore. In un mondo come quello islamico, in cui le leggi sono quelle cruente della sharia e le donne molto spesso sono solo oggetti di desiderio, Amaneh ha deciso di andare al di là di quel gesto brutale che le ha completamente cambiato la vita, della tradizione di un popolo millenario, della più semplice reazione umana al dolore: infliggerne altro. Ameneh ci insegna che è possibile agire secondo il proprio volere, secondo il proprio credo e le proprie personali convinzioni e che è possibile uscire dal ciclone del Male in un modo apparentemente molto semplice: compiendo il Bene.
Fo Elettrica

giovedì 21 luglio 2011

"La verità è che sono cattivo"

“Scegliete un futuro, scegliete la vita. Ma perché dovrei fare una cosa così?”

Un inseguimento, una corsa verso un futuro ignoto. Così inizia Trainspotting, con un crudo monologo pronto a lacerare tutto ciò che nel nostro tempo è positivo. Ciò che è il Bene, bene non morale, ma il bene economico della società consumistica, agli occhi del protagonista non è che il Male, la noia, il costante ripetersi di giorni sempre uguali, tutti vissuti in compagnia della solitudine.

Per fuggire da questa società alienante, i più vendono la loro anima all'alcool, al fumo, alle droghe più pesanti. Così facendo, vengono emarginati ancora di più dalla società stessa. Il nostro lessico ha mille modi per definire questi "disadattati": tossico, drogato, alcoolizzato, ubriacone,... Parole che evocano il disagio, la malattia, la morte.

Svevo aveva un bel modo di definire coloro che lavorano sodo, i “buoni” del nostro tempo. Per lui, questi sono i sani. Ovviamente, malato è dunque chi si lascia trasportare, colui che non agisce, ma  guarda. L'artista, l'inetto, il Tonio Kroger dei nostri tempi. Eppure, i grandi pensatori della Scuola di Francoforte ci ricordano che esistiamo tutti come target ultimo di un'anonima massa di lavoratori il cui scopo è modificare la cultura a fini di lucro. Lo chiamano Marketing.

Dove risiede quindi il Male? In questi agenti pubblicitari, in chi è oggetto del loro lavoro, in chi rifiuta la società o nella società in sè?

Per un cristiano, il Male è mancanza di Bene, proprio come la Tenebra è l'assenza di Luce. Esiste infatti questo dualismo nella mente umana, per cui si definisce una cosa in base a quanto un'altra sia presente o assente. Se si volesse eliminare del tutto il Male, bisognerebbe istituire un Bene assoluto. Purtroppo, esisterebbero comunque delle gradazioni, proprio come nell'Empireo dantesco.

Se esistesse sempre un Altro in grado di inquinare l'Essere, un sistema gerarchico risulterebbe valido. Il problema è che esiste un elemento che non ha opposti, ovvero la Tecnica. "Eliminare la Tecnica presuppone un atto tecnico, non naturale." disse il prof. Galimberti, di conseguenza non è valida l'ipotesi che la Natura sia un valido Essere positivo, essa è tale solo in base alla nostra percezione personale. Giungiamo quindi a questo problema: se l'uomo può scegliere, il Male è assoluto o è relativo?

Se il Male fosse assoluto, allora potremmo avere un metro per quantificarlo. Non ne abbiamo, poichè se ci fosse un accordo tale tra gli uomini, non sorgerebbero dibattiti riguardanti l'aborto, l'eutanasia, la fecondazione assistita. Ne consegue che il male è relativo, mentre la discordia tra gli uomini su argomenti di tale portata ha l'unico fine di aumentare il conflitto già esistente tra le varie autocoscienze.

Come infatti sostiene Hegel, l'Uomo non è un essere naturalmente socievole, ma gli è necessaria la convivenza con gli altri per garantire il soddisfacimento dei propri bisogni. Il contratto che protegge ciascun uomo dal suo simile ha però questo svantaggio: ognuno ha abbastanza libertà per decidere di non rispettarlo. L'illecito, il reato, l'azione di danneggiare l'altro è quindi la manifestazione del Male.

Questa ha necessità di un'intenzione alla base, una volontà libera di compiere il reato ledendo il diritto altrui. Essendo l'Uomo libero responsabile delle proprie azioni, è dunque anche responsabile del Male che compie, un Male definito tale nei limiti del diritto. Questo ultimo è già di per sè caratterizzato dal costante mutamento, al fine di regolare i rapporti umani in base alle necessità dello Stato. La percezione del Male è relativa, storica, modificabile e, purtroppo, influenzabile da agenti esterni, quali gli operatori dell'industria culturale.

Questo solleva tuttavia una domanda fondamentale, ossia: è l'Uomo malvagio in sè?

Se l'uomo fosse essenzialmente portato al danneggiare sè stesso e gli altri, la posizione cristiana non sarebbe valida, in quanto antropologicamente ottimistica. Se invece l'uomo non fosse malvagio, sia che fosse un essere neutro o fondamentalmente portato al Bene etico, il Male risiederebbe quindi nella società, nella cattiva politica ed educazione. Educazione non solo scolastica, ma intesa a tutto tondo come trasmissione di valori culturali, morali e economici.

Sara G. non ha dubbi: "La malvagità è dentro di noi: è un elemento immanente della personalità dell'individuo e di ciò che fa parte della sua formazione mentale. È solo la differente quantità di questo elemento o meno a definire se saremo visti come buone o cattive persone."

Eppure, c'è chi sostiene ancora sia la società a costringere l'uomo alla perfidia. Questa posizione si basa sull'idea kantiana che l'uomo sia responsabile del male che compie, sia questo nei suoi confronti o nei confronti altrui. La tesi del male come scelta più o meno consapevole è molto interessante, perchè in questa risiede una certa speranza nel futuro. Inoltre, questa posizione permette di riconoscere elementi scatenanti il male umano, quali l'Odio e l'Indifferenza.

"Agire guidati dall'Odio, questo vuol dire essere malvagi. L'azione, poi, non deve necessariamente essere contro chi o cosa ha generato l'odio, anzi, uno è davvero malvagio quando scarica la sua frustrazione su chi non merita cattiveria. […] Ci permettiamo di farci piagare finchè l'essere pervasi dalle emozioni non ci fa esplodere l'uno contro l'altro." Infatti, ci viene ricordato che "non è l'estensione del danno a definire il male, ma l'intenzione primaria di chi lo vuole compiere." Non è Kyle Searles a fornire l'unica risposta possibile riguardo le manifestazioni esterne del male. Sarah G., infatti, ha un'altra idea.

"[Il male si manifesta] Semplicemente, ma tuttavia dolorosamente, nel non interessarsi assolutamente delle altre creature solo per continuare ad essere un maledetto edonista. In fondo, nessuno sarebbe malvagio, se non ci fosse da divertirsi."

Chantal Frattini

lunedì 11 luglio 2011

Se non lecchi le dita....

“Bisogna preservare la vita”. Perché? È così importante? La vita è un bene? Siamo così dipendenti dalla vita (per la vita) da volerla sopra ogni cosa?
Anche quando non si tratta della propria ma dell'esistenza altrui, si pensi al tipico esempio del feto, esso è importante che sia una vita umana affinché si ponga la questione.
Ogni dubbio bioetico riguardo la persona è per lo più influenzato da questo discrimine: “è quest'esistenza una vita umana?” ponendo così aperture nel caso di risposta negativa. L'importanza della vita viene spesso fatta coincidere con la perpetrazione di un dato di fatto “conveniente” la propria natura, è bene che la natura che pone la domanda sia conservata, anzi che si potenzi, reiterando la domanda stessa sul problema assiologico. Ribaltando un poco la questione, perché è meglio essere che il nulla?

Da una parte infatti il nulla è meno “violento” dell'essere stesso, pur nel suo annichilire rigoroso nel proprio ventre disperso. Il nulla sembra fagocitare l'esistente come il mare che lambisce la terra sopra cui l'uomo può stare sicuro sopra i suoi piedi (e porre domande), proprio per questo il “mare” – si pensi alle popolazioni semitiche – è stato spesso in assonanza con “male”. Il mare per la sua incontrollabilità, la sua passione dei venti, l'inghiottire navi e disperderne il contenuto nonché equipaggio, il gonfiare i cadaveri deformandone la figura umana e accelerando l'opera di putrefazione, si oppone alla terraferma dove l'uomo può ripararsi, può cacciare, costruire opere che si suppone poter reggere in eterno data la stabilità del terreno.

Sembra proprio che il tema del fagocitare, la manducazione dell'uomo, sia l'immagine che più atterrisce i viaggiatori che si muovono su imbarcazioni; c'è qualcosa che atterrisce nell'idea di “essere divorato” che colpisce notevolmente l'immaginario umano, additando come malvagio colui che lo opera e non è legato solo al fatto di essere una minaccia, è l'antropofagia (anche solo virtuale)  quella che inficia il sentire relazionale. La manducazione è violenta, distrugge per iterare l'esistenza del distruttore, è l'ardere del fuoco che perpetua la sua fiamma. Il mare è violento (pericoloso) come il lupo che però si nutre di viventi per sopravvivere, mentre il secondo lo fa per necessità, il primo ne è indifferente. Il mare è così l'ideale di sadico del famoso quanto terrificante marchese francese, il lupo invece è costretto dal bisogno di sfamarsi per continuare ad esistere nella propria forma per uccidere. Si vede subito che l'analogia non è perfetta, che manca un elemento di discrimine dato dalla necessità unita al desiderio, alla brama di esistere oltre lo sforzo di non sfamarsi, in cui l'istinto porta alla fine a cedere al bisogno del cibo, consumando se stessi in definitiva. La brama di mangiare così è un corollario aleatorio della volontà di vita, il desiderio (o bisogno) di mangiare diventa una necessità affinché quell'essere che viene fuori dal disastroso ma ordinato e omogeneo nulla persista. Così la vita diventa complice di quella manducazione universale che è il mondo della catena alimentare: un grande ristorante in cui i più piccoli sono le portate dei più grandi e quest'ultimi, giunti al loro eccesso (fuori dalla propria forma/struttura/essenza) diventano “cibo” per i più piccoli, chiudendo così l'anello della catena.

L'anello si reitera attraverso questo cibarsi, la vita si alimenta tramite la morte di altri individui e così quello che avevamo pensato essere bene, diventa un'ombra rispetto al gigantesco male (si pensa oppositivamente che il male sia la non-conservazione dell'ente) che permette la sua esistenza, così il bene (conservazione o corroborazione) di un essere si rivela essere il male di molti altri individui!

Sembra assurdo, ma non siamo ancora arrivati all'estremo: l'uomo, di quest'essere, che è causa di catastrofi a catena “semplicemente continuando a esistere”, s'innamora e  dice “voglio il tuo bene”.

Nyarlathotep

lunedì 4 luglio 2011

Carta Straccia: quando il male è sempre altrove


È estate e il diavolo che ho in corpo mi consiglia di leggere il nuovo libro di Giampaolo Pansa: Carta straccia, il potere inutile dei giornalisti italiani.
La tesi di fondo del giornalista è che la cricca di Repubblica, l’Espresso, Fabio Fazio, Serena Dandini, Santoro e via dicendo, rappresentano la vera macchina del fango, tutti tesi unicamente a voler demolire il Cavalier Berlusconi attraverso scorretti metodi giornalistici. Per questo sono mezzi di informazione e presentatori noiosi, inutili, ritti e impettiti su posizioni conformate: letto un numero, vista una puntata, le hai viste tutte. Pagina dopo pagina, Pansa tenta di distruggere il mito dell’aitante Travaglio e dei suoi prodi amici, accusandoli di aver creato e alimentato il clima d’odio in cui è sprofondata l’Italietta in cui viviamo. Cita esempi recenti, tirando le fila di un giornalismo malato, mai obiettivo e tremendamente banale.
Terminato il volume, provo a tirare le somme di quello che ho capito e mi trovo a concordare con lui. Ha ragione: il disgustoso modo in cui certa stampa getta letame contro Berlusconi, usando ogni minimo pretesto per macchiarne l’immagine, disgusta pure me. Trovo Repubblica un giornale mediocre, sempre uguale a se stesso, che imposta la notizia non come ricerca ma, partendo da un’opinione stabilita a priori (Berlusconi è cattivo), gli articolisti costruiscono il loro pezzo. Santoro è maestro del vittimismo, vive credendosi eroe della libertà contro fantomatiche dittature. E Fabio Fazio, la Dandini? Intervistano i soliti noti, tutti con le stesse idee radical-chic, tutti pronti a rassicurare il pubblico che li segue: “Noi siamo nel giusto! Gli altri sono trogloditi ignoranti” sembrano dirci in ogni puntata.
Ma – c’è sempre un ma se si vuole provare a giungere ad una verità - Pansa, si dimentica (volutamente?) di far le pulci alla parte opposta, alla Destra, a quelli che la Sinistra considera il male. Lo scrittore critica l’ingresso in politica di Santoro, della siliconata Lilli Gruber (entrambi europarlamentari a metà anni 2000) e di Marrazzo, ritenendoli a ragione poco esperti della cosa pubblica per affrontare questo ruolo. Stranamente non cita la Carfagna, la Gabriella Carlucci, Iva Zanicchi…  Tre esempi di showgirl salite con forza sul carro del Pdl. Che esperienza può offrire la Iva nazionale nel parlamento europeo? Che cultura politica possiede?
Pansa attua, nel suo libro interessante, soprattutto quando divaga raccontando un passato giornalistico a cui noi nativi digitali non siamo avvezzi, la strategia che tanto critica: il pensiero unilaterale. Nelle sue scorrevoli quattrocento pagine gli sfugge di criticare il Metodo Boffo, definendolo quasi un giusto esercizio di difesa contro “i sultani rossi”, o i rozzi titoli dei suoi cari amici Feltri e Belpietro (uno tra tutti Lasciatelo lì! riferendosi alla salma di Vittorio Arrigoni).
Pansa usa la penna per smontare l’avversario, tanto quando fanno i giornalisti di Repubblica. Non volge mai lo sguardo verso di sé, verso Libero per il quale scrive. “È l’Altro il cattivo, è l’Altro il male” pare urlare dalle fitte e ciniche righe della sua scrittura.
Come si può pensare di uscire da questa situazione di impasse in cui l’Italia è sprofondata, se si disapprova il comportamento di una sola parte, e non dell’altra? Il male è il male. Sempre. Il buon giornalismo, invece, dovrebbe nascere dal dubbio, dalla sola certezza di sapere che non si sa nulla e, per questo, si cerca la verità insieme al lettore.  
Il libro di Pansa non porta niente di nuovo lungo i litorali italiani e si qualifica come un’occasione persa per il giornalista che, dall’alto della sua cinquantennale esperienza, avrebbe potuto davvero offrirci una lezione di etica giornalistica.

Marco Stizioli

domenica 26 giugno 2011

Faciledifficile


Ĕ facile cogliere questa felicità sottile nelle cose
di tutti i giorni che ti guardano compiacenti.
Facile, è trovare ristoro, nel tepore buono
del mio salotto che sa di bagno appena fatto.
Facile, è ritrovare serenità con un corroborante
viaggio fra le carezze del mondo.
Facile, è sciogliersi in garrule risate fra amici
intorno a un tavolo imbandito di simpatia.
Facile, scaldarsi le ossa dentro un letto
odoroso di noi che ci amiamo da sempre.
Ĕ facile, quando hai tante cose per star bene,
una casa per riposare,un’auto per viaggiare,
denaro per imbandigiare banchetti…

Ma non è facile incespicare
nella fortuna rifratta allo specchio
e vederla solo mia e dei miei,
e continuare a convincersi di essere felici.

Ĕ difficile gridare la propria felicità quando
molti non hanno mezzi per condividerla.
Difficile, è gustarsi il riposo guardando la vita
di donne come me dilaniate dal dolore.
Difficile, è avere pace incontrando le persone
schiaffeggiate dalla sorte, dall’ingiustizia.
Difficile, è ridere spensieratamente intorno
alla mensa senza pane che condividono i poveri.
Difficile, è stringere forte al petto i miei figli profumati
di tutto avendo nel cuore bimbi morenti di niente.

Facile, è voltare le spalle, fare gesti impotenti,
futili, come scrivere questa poesia,
Difficile, è sentirsi utili, credere di aggiustare
il mondo rotto dalle guerre, sapere cosa fare.

Ĕ faciledifficile,
aggrapparsi alla carrucola di Dio
e lasciarsi trascinare con tutte le forze.
Fiduciosi.


Daniela Gregorini

venerdì 17 giugno 2011

Recensione: War Story - Condors

Alcune storie ne racchiudono in realtà più di una, e sfogliandole pare di aprire una matrioska. Molte di queste narrazioni a incastro hanno inizio intorno a un fuoco scoppiettante piuttosto che all’interno di un’aula di tribunale oppure, nel caso di “War Story - Condors”, in una buca di riparo dall’artiglieria.

Con questo albo a fumetti, lo sceneggiatore Garth Ennis e il disegnatore Carlos Ezquerra si sono addentrati all’interno del genere frettolosamente etichettato “di guerra”, dimostrando una originalità artistica sicuramente non inferiore a quella della cultura più “alta” – la cultura rilegata in confezione Oscar Mondadori, tanto per esempio.

  
Il racconto è ambientato nel corso della Guerra Civile Spagnola, all’interno di un campo di battaglia in cui si ritrovano quattro personaggi senza nome, ciascuno archetipo novecentesco delle diverse categorie di combattente straniero che hanno volontariamente partecipato al conflitto del 1936-1939.

Stanchi e privi di armi, i protagonisti si rifugiano nella medesima buca, unico riparo che nel raggio di centinaia di metri possa garantirgli la salvezza dal bombardamento in corso. Sono un tedesco, un inglese, un irlandese e uno spagnolo, che a turno narreranno ai presenti il motivo per cui si trovano in quel luogo, a un centinaio di kilometri da Barcellona e nel mezzo di un sanguinoso combattimento.

Il Tedesco è un aviatore di vent’anni fortunosamente scampato a un atterraggio di emergenza. Nazista cosiddetto moderato, arruolatosi nella Luftwaffe per godere dell’entusiasmante ebbrezza del volo e non in seguito a profonda adesione all’ideologia hitleriana, si definisce un semplice pilota che affronta gli aviatori nemici “con clemenza, con decenza e con onore” . Diverse implicazioni etiche e morali, inclusa la deliberata e sistematica persecuzione dei cittadini Ebrei, non rientrano fra le sue preoccupazioni.
Rappresenta l’egoismo e la baldanza della gioventù: eccezion fatta per la croce uncinata, risulta essere il personaggio più simpatico e scanzonato. 

L’Inglese è un socialista occhialuto e di circa 25 anni, evidentemente colto e di buon cuore, giunto in Spagna per contrastare le forze del Fascismo Internazionale. Di formazione culturale marxiana, crede nei popoli e in quella fratellanza universale che forse non farà vincere al Socialismo la Guerra di Spagna, ma gli permetterà di combattere “finché non cadrà anche l’ultimo Compagno”. 
Raffigura il pensatore che non rifugge dall’azione, dotato del coraggio necessario per combattere in ossequio ai propri ideali: peccato che questi ultimi siano rivolti all’etereo bene del “Popolo” più che a quello concreto dei singoli individui.

L’Irlandese è violento e tendenzialmente psicotico, ha circa quarant’anni e alle spalle una lunga storia di omicidi a sangue freddo per conto dell’I.R.A. Si è trasferito in Spagna affermando di difendere la Chiesa Cattolica perseguitata dai “Rossi”, ma il suo autentico scopo è l’uccisione del maggior numero possibile di persone, meglio se “bastardi Inglesi!”. Crede più nella dinamite che nella bandiera dell’Irlanda, ma è troppo ottuso per realizzarlo: la sua coscienza è da tempo latitante.
E’ un personaggio grottesco e detestabile, in poche parole un villain che conquista simpatia solamente con il suo linguaggio a dir poco colorito.
 
Lo Spagnolo è stato a Guernica. Arruolatosi per vendicare il massacro cui ha assistito, si è poi disilluso e ha svalutato la motivazione della propria scelta.
Paragona sé stesso e i suoi compagni di sventura a dei “condor”, ovvero  i grandi volatili che si aggirano attorno ad un campo di battaglia per ottenere dalla carneficina quello che vogliono”: che questo utile personale sia pura vendetta o carriera militare o astratto idealismo o ricerca di sangue, nulla cambia ai suoi occhi.
La maschera di cinismo e abile sarcasmo che lo Spagnolo indossa a più riprese si sgretola, rivelandone il profondo tormento interiore.

In concomitanza con il termine dell’ultima narrazione, cessa anche il bombardamento: i quattro protagonisti possono così separarsi e tentare di ricongiungersi alle formazioni militari di appartenenza.

Il loro destino finale è svelato nelle rimanenti pagine dell’albo (contenuto all’interno della raccolta “War Stories” – ed. Planeta de Agostini, € 35. Per gli utenti più smaliziati, disponibile a prezzo modico presso Internet Editore).

 
La storia di “Condors” è una felicissima metafora delle motivazioni per cui l’uomo può compiere il Male, che nelle intenzioni degli Autori è simboleggiato dalla Guerra. Più che formulare una astratta riflessione, tipica semmai di un Inglese, è doveroso citare una frase dello Spagnolo:
 
“Finché ogni uomo non sentirà il dolore che infligge ad un altro uomo con la stessa intensità con cui percepisce il proprio – finché non ti darò un pugno in faccia ed entrambi i nostri nasi sanguineranno – saremo tutti destinati a proseguire per la strada su cui ci siamo avviati”.
 
The End.

Silvio

domenica 12 giugno 2011

NUOVO TEMA Cuore di Tenebra: quando l'uomo è e compie il male

"Che cos’è il male?" è una domanda che l’uomo si pone da sempre, e che con sé porta ipotesi, corollari, ma soprattutto, moltissime altre domande.
In molti casi il nostro cuore di tenebra sembra vincere sul bene (come quando ci troviamo a dover convivere con guerre ingiuste, violenza gratuita, egoismo incontrollato...), al punto da far pensare che persino la mela più rossa e lucida sia bacata o il rifugio di un verme.
Il male corrompe, ma la sua corruzione è seducente, perché porta con sé l’illusione dell’onnipotenza, che invece la difficoltà del compiere l’azione generosa sembra negarci.
Ma allora noi uomini siamo tendenzialmente cattivi? Oppure possiamo accusare la nostra società che ci insegna il male?
E, oltretutto, come si manifesta questo male nella storia e nella cultura dell’uomo? Se viene combattuto, come? Da chi?

L’obiettivo di Thema di questo mese è quello di arrovellarsi, coinvolgersi e contraddirsi rispetto a tutti gli aspetti che un tema come il male porta con sé: dalle questioni di fondamento a quelle legate al valore morale (o a-morale) di un’azione malvagia, dal male come ingiustizia nel campo del diritto passando per male come dolore o sofferenza inflitta o subita fino all’arte profana, un male nel Medioevo dei valori cristiani.

Quello che cerchiamo sono dunque articoli, saggi, racconti, poesie, interviste, ... che abbiano come scopo quello di dare il proprio personale contributo a questa ricerca; una ricerca che si prefigge come fine quello di riunire in sé più aspetti possibili riguardanti il tema in questione cercando di evitare di cadere nel banale, nell’opinionismo superficiale e non argomentato tipico dei nostri tempi.

Gli articoli, in formato .doc, non devono superare le 5000 battute ed è necessario specificare firma e ventuali tag.
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