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sabato 5 marzo 2011

Storia di una conversione pruriginosa - La Maddalena di Cagnacci

Il pretesto del tema religioso diviene, nel Seicento, motivo di un’esplorazione erotica che gode di una farisaica copertura fornita dalla dilatazione del campo narrativo della Bibbia. La liceità dei soggetti è garantita da una mera scelta nominalista: gli episodi di Betsabea al bagno o di Giuseppe e la moglie di Putifarre – per citarne alcuni -, forniscono un alibi per l’esecuzione di tele dal contenuto sibaritico che non si ancorano, se non nell’enunciazione, alla dimensione del sacro. Nel secolo in cui gli esiti della Controriforma tendono a cancellare i temi licenziosi desunti dalla classicità pagana, committenti ed artisti placano le tensioni voyeuristiche maschili – invano trattenute da un’etica sessuofobica e spiritualista -attingendo al repertorio ecclesiastico.
E’ una scaltra – se non blasfema – commistione di due aree antitetiche, Eros e Chiesa, una dicotomia tra poli di segno opposto, una deflagrante saetta che scocca dai cirri celesti della religione per scaricarsi sulla terra della carne.  Queste opere impudiche, destinate ad occupare camere nuziali, camerini privati o studioli, erano volte ad alimentare la libido del padrone di casa, dei suoi più intimi ospiti e delle sue amanti, senza formalmente intaccare l’area della proibizione.
L’estro dei pittori veniva chiamato a immaginifici virtuosismi, a manipolare i versi biblici per assecondare la provocazione, a celebrare i sensi, in un’istigazione alla vita che non lasciava alcuna possibilità di fuga dalla presa edonistica. Poco frequentato, anche se molto suggestivo, è l’episodio della conversione di Maria Maddalena, la meretrice che abbandona la propria esistenza per unirsi a Cristo, affrancandosi dai sette demoni che l’avvincono in una morsa voluttuosa.
 Guido Cagnacci affonda il pennello nelle origini della seduzione: bionde chiome soffiate nella luce, spalle tornite, gambe nivee scomposte… Coglie l’attimo del conflitto fra l’angelo e un diavolo che si dimena per la casa, ma l’intera narrazione è solo il pretesto per descrivere il corpo sublime della giovane donna distesa, così flessuoso, carnale, intriso di peccato.  La Maddalena giace nuda sul pavimento, spogliata dell’abito opulento, dei gioielli, delle scarpe di seta come nella frenesia di liberarsi da ogni viluppo per stringersi nell’amplesso amoroso; la collana di perle, strappata, non è solo l’emblema della vanità vinta ma anche il frutto di un moto di piacere che non conosce freni.
L’artista descrive meticolosamente la nudità malcelata e i piedi perfetti della sua attrice.
Accarezza i capelli illuminati da un raggio di sole, il viso che non lascia trasparire alcuna estasi spirituale ma non è nemmeno adombrato da quell’espressione di disperata sfida che anima il volto delle prostitute, spiriti reietti esiliati dal mondo; indulge sul fianco morbido, sulle natiche sinuose, concupiscenti, in cui si realizza il perfetto equilibrio tra muscolo e pelle.
La Maria Maddalena di Guido Cagnacci è una giovane all’apice del proprio splendore che non si sottrae ai piaceri scaturiti dal desiderio altrui.  La sua avvenenza è una condanna e conduce inesorabilmente al compimento dell’atto sessuale. Non è ancora purgata dal peccato come quella di Tiziano che, volgendo gli occhi al cielo, cinge il proprio corpo e lo riveste con la sua folta chioma, in segno di pudore, o come quella di Hayez, languida, eterea, ma pienamente conscia della redenzione. L’artista conferisce all’aneddoto la concitazione, il rumore e la grazia suadente della pelle.
Arma l’angelo di una verga, trasformandolo in una figura che freme della stessa furia di un marito tradito che sorprende la propria consorte con un uomo sconosciuto – il diavolo -, ancora nudo e nerboruto come Marte con cui Venere si unì all’insaputa di Vulcano. Ripercorre tante storie di letteratura e di strada, alle grida di tradimento che anche qui conducono sulla scena del peccato amiche e parenti.
E una di loro piange, quasi si sia resa conto dell’irrefrenabile lascivia di Maddalena, mentre un’altra, inginocchiata a cospetto della meretrice, sembra additarle la via della redenzione.
Anche il teatro della rappresentazione, una dimora signorile, nulla ha a che fare con l’ambientazione desertica dell’iconografia tradizionale, in cui solo i fluenti capelli e il seno esibito alludono ai laidi trascorsi della Santa, sovente ritratta mentre impugna una croce.
Quella di Guido è una donna che non può sottrarsi alla carne.
La salvezza è ancora un miraggio.

Alessandra Troncana

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