Esiste un futuro per i giovani italiani?

lunedì 11 luglio 2011

Se non lecchi le dita....

“Bisogna preservare la vita”. Perché? È così importante? La vita è un bene? Siamo così dipendenti dalla vita (per la vita) da volerla sopra ogni cosa?
Anche quando non si tratta della propria ma dell'esistenza altrui, si pensi al tipico esempio del feto, esso è importante che sia una vita umana affinché si ponga la questione.
Ogni dubbio bioetico riguardo la persona è per lo più influenzato da questo discrimine: “è quest'esistenza una vita umana?” ponendo così aperture nel caso di risposta negativa. L'importanza della vita viene spesso fatta coincidere con la perpetrazione di un dato di fatto “conveniente” la propria natura, è bene che la natura che pone la domanda sia conservata, anzi che si potenzi, reiterando la domanda stessa sul problema assiologico. Ribaltando un poco la questione, perché è meglio essere che il nulla?

Da una parte infatti il nulla è meno “violento” dell'essere stesso, pur nel suo annichilire rigoroso nel proprio ventre disperso. Il nulla sembra fagocitare l'esistente come il mare che lambisce la terra sopra cui l'uomo può stare sicuro sopra i suoi piedi (e porre domande), proprio per questo il “mare” – si pensi alle popolazioni semitiche – è stato spesso in assonanza con “male”. Il mare per la sua incontrollabilità, la sua passione dei venti, l'inghiottire navi e disperderne il contenuto nonché equipaggio, il gonfiare i cadaveri deformandone la figura umana e accelerando l'opera di putrefazione, si oppone alla terraferma dove l'uomo può ripararsi, può cacciare, costruire opere che si suppone poter reggere in eterno data la stabilità del terreno.

Sembra proprio che il tema del fagocitare, la manducazione dell'uomo, sia l'immagine che più atterrisce i viaggiatori che si muovono su imbarcazioni; c'è qualcosa che atterrisce nell'idea di “essere divorato” che colpisce notevolmente l'immaginario umano, additando come malvagio colui che lo opera e non è legato solo al fatto di essere una minaccia, è l'antropofagia (anche solo virtuale)  quella che inficia il sentire relazionale. La manducazione è violenta, distrugge per iterare l'esistenza del distruttore, è l'ardere del fuoco che perpetua la sua fiamma. Il mare è violento (pericoloso) come il lupo che però si nutre di viventi per sopravvivere, mentre il secondo lo fa per necessità, il primo ne è indifferente. Il mare è così l'ideale di sadico del famoso quanto terrificante marchese francese, il lupo invece è costretto dal bisogno di sfamarsi per continuare ad esistere nella propria forma per uccidere. Si vede subito che l'analogia non è perfetta, che manca un elemento di discrimine dato dalla necessità unita al desiderio, alla brama di esistere oltre lo sforzo di non sfamarsi, in cui l'istinto porta alla fine a cedere al bisogno del cibo, consumando se stessi in definitiva. La brama di mangiare così è un corollario aleatorio della volontà di vita, il desiderio (o bisogno) di mangiare diventa una necessità affinché quell'essere che viene fuori dal disastroso ma ordinato e omogeneo nulla persista. Così la vita diventa complice di quella manducazione universale che è il mondo della catena alimentare: un grande ristorante in cui i più piccoli sono le portate dei più grandi e quest'ultimi, giunti al loro eccesso (fuori dalla propria forma/struttura/essenza) diventano “cibo” per i più piccoli, chiudendo così l'anello della catena.

L'anello si reitera attraverso questo cibarsi, la vita si alimenta tramite la morte di altri individui e così quello che avevamo pensato essere bene, diventa un'ombra rispetto al gigantesco male (si pensa oppositivamente che il male sia la non-conservazione dell'ente) che permette la sua esistenza, così il bene (conservazione o corroborazione) di un essere si rivela essere il male di molti altri individui!

Sembra assurdo, ma non siamo ancora arrivati all'estremo: l'uomo, di quest'essere, che è causa di catastrofi a catena “semplicemente continuando a esistere”, s'innamora e  dice “voglio il tuo bene”.

Nyarlathotep

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