Esiste un futuro per i giovani italiani?

domenica 20 marzo 2011

Due filosofi discutono sull’Eros. Pensiero maschile e femminile a confronto

L’atmosfera in quel luogo era fumosa, offuscata dall’alcool, le parole, i sigari cubani e le sigarette con bocchino. I tavoli erano distanti sufficientemente gli uni dagli altri per rendere i discorsi degli altri presenti solo dei sibili che si mescolavano con il jazz di sottofondo, il quale riempiva gli attimi di silenzio, ma senza invaderli.
Lui fumava la pipa e lentamente aspirava e buttava fuori il fumo con una gestualità naturale, lei sorseggiava il vino color rubino increspando ogni tanto le labbra, un atto che esprimeva il suo piacere.
Tra una boccata e l’altra lui chiese, con fermezza ma senza fretta, tranquillamente: “Che cos’è l’Eros?”.
Un sorso di vino e poi lei sussurrò: “Non saprei risponderti. ogni definizione mi sembra riduttiva”. Una pausa.
Lui incalza: “Già, è difficile definire ciò che sembra sfuggirci da ogni parte”.
“L’amore forse non è un oggetto definibile”, riprende lei “e forse non è proprio un oggetto”.
Un altro sorso di vino, un altro sbuffo di fumo.
“Eppure di definizioni se ne sono tentate molte. Penso al simposio di Platone, penso a Žižek: ‘Love is evil’“.
“Oppure Radiguet”, prosegue lui “che in Il diavolo in corpo sostiene che Eros sia ‘egoismo di coppia’, per cui la distruzione, il male sono intrinsecamente presente nell’Eros. L’Eros è distruttivo nella sua creazione: è sempre contro ciò che esiste – citando Galimberti. Dunque l’Eros conserva, ma non auto-conserva: conserva altro che non è il soggetto portatore di amore”.
Lei riflette un momento. Trae un sospiro per concludere che: “No, non c’è distruzione nell’amore. Nell’amore si parla di reciprocità, di dare e ricevere. In un rapporto cambi con l’altro, nel rispetto dell’altro. Siamo di fronte a un compromesso nella fusione di mondi”.
La  musica jazz interrompe il silenzio, la voce nera si innalza forte e prorompente sugli strumenti e per un momento distoglie la loro attenzione.
“Forse stiamo dicendo la stessa cosa”, afferma lui rassicurante “C’è un io, nella sua quotidianità, più o meno apatica, nelle sue certezze, nei suoi progetti, ambizioni etc. Al suo orizzonte appare un altro che destabilizza, scardina quell’equilibrio. Cosa succede? Qualcosa va distrutto”.
Lei sorride: “Si porta allo scoperto l’indecenza. Quello che Lévinas chiamerebbe il dis-astro. Il soggetto solo è l’Altro, nell’amore l’astro si distrae da sé. È lo stato d’eccentricità dell’uomo innamorato: il suo centro è altrove”.
“Appare la nudità”.
“Cosa intendi per Nudità?”, domanda lei corrucciando la fronte.
“Nudità come nudità sia fisica che mentale. Evoca fragilità, esuberanza, paura, oscenità, pudore, imbarazzo”.
“Ma cosa ti spinge ad accettare tutto questo? Come arrivi alla Nudità?”.
“Partiamo dal principio: perché ci vestiamo?”, chiede lui con una punta di provocazione.
“Per vergogna, per proteggersi”.
“Da cosa?”.
“Da una non innocenza dello sguardo, proprio e altrui. Vogliamo evitare una violazione/appropriazione”.
“Qual è la differenza tra violazione e appropriazione?”, insiste lui.
“Ci può essere violazione senza appropriazione, violazione con appropriazione, appropriazione con violazione, e appropriazione senza violazione. Ciò che discrimina è il consenso”, risponde lei  tranquillamente. “Ma perché invece ci svestiamo?”, domanda lei a questo punto.
Uno sbuffo di fumo inonda il tavolo.
“La nudità permette l’incontro. La comunicazione implica un’apertura, una lacerazione; svestirsi è aprire, lacerare la pelle.
“Non mi piace ‘lacerare la pelle’“, lo interrompe lei “non c’è niente di più sensuale ed erotico della pelle. La pelle è porosa, assorbe ed emana, scambia, permette un passaggio, svelando e ri-velando. Se togli e laceri la pelle laceri un velo: passi dall’erotismo alla pornografia”.
“Cos’è pornografia? Null’altro che togliere il mistero all’Eros; la visione senza mistero, l’annullamento della dimensione simbolica. Tutto è riconosciuto come carne, come atto. È il passaggio dal simbolo al segno”.
“Ma allora qual è la differenza tra sesso e amore?”, domanda lei un po’ accigliata.
Lui rimane in silenzio, lascia il fumo uscire anche dalle narici.
“C’è sesso senza amore”, afferma allora lei. “Ma nell’amore l’atto sessuale è l’apice stesso dell’amore”.
“Bataille”, sussurra un attimo dopo lui “‘L’erotismo è l’approvazione della vita fin dentro la morte, e ciò tanto nell’erotismo dei cuori che nell’erotismo dei corpi: una sfida alla morte lanciata dall’indifferenza’”.
“Oppure Galimberti”, prosegue lei “‘Oltre alla morte c’è un altro modo di sperimentare il sacrificio della propria individualità nel corso della vita: è il modo della sessualità in quel suo apice che è l’orgasmo. Nell’apice dell’amore, infatti, l’Io e il Tu si dissolvono come il gioco del vedere e dell’esser visto, e questa rinuncia del proprio Io e all'immagine del proprio corpo è resa possibile dalla fiducia nell’altro, senza la quale non potrebbe essere superata la profonda angoscia che l’orgasmo possa condurre alla perdita di sé come nella morte”.  
“In effetti”, ammette lui “per l’uomo è più facile scindere sesso e amore. Il guaio è quando nel sesso si mette l’amore. Quando l’uomo si innamora va in tilt. Per l’uomo prima c’è il sesso poi l’amore, per la donna il contrario”.
“E quindi”, domanda lei con una punta di sarcasmo “voi avete paura di innamorarvi?”.
Lui ride, appoggia un attimo la pipa sul tavolo, la guarda negli occhi e avvicinando la sua mano a quella di lei le si avvicina in modo che le due paia di occhi si trovino a non più di dieci centimetri di distanza.
“Lasciamelo dire sinceramente, te lo sussurro: sì”.
Detto questo si riallontana e riprende possesso della pipa.
Per risposta lei gli sorride maliziosamente, non aggiunge altro, è curiosa di vedere come lui potrà argomentare la sua posizione.
Uno sbuffo di fumo esce dalle sue labbra e pare più che altro un sospiro.
“Con l’amore perdo il controllo sulla mia vita, su ciò che è di mio dominio. L’amore fa irruzione, è qualcosa che io non scelgo. Il momento in cui ti accorgi di essere innamorato è sconvolgente, si apre una ferita. Non lo scegli, è chance, opportunità, sfugge al controllo. Occorre a quel punto sacrificare qualcosa del proprio mondo e aprire la possibilità dell’incontro con l’altro. Questa però rimane una possibilità, l’esito non è scontato. È  una scommessa. È vertigine, è abisso”.
Lui a questo punto sposta lo sguardo, gioca con la pipa tra le dita e poi la guarda negli occhi aspettando una risposta.
“E non può essere anche bello l’innamoramento?”, lui fissa il suo sguardo in quello di lei. “Per come lo hai detto ho come l’impressione che uomini e donne vivano il momento dell’innamoramento in modo diverso. Tu ne hai parlato in termini di sacrificio. Io, da donna, posso dire che amore è lasciar essere,  senza necessità di sacrificio, accoglienza dell’altro nella sua interezza. Come dice Derrida: ‘Si ama il chi, non il che cosa’.  La donna è madre, è fatta per accogliere, e in questa accoglienza non c’è sacrificio. Amare per noi è ritrarci, non potenza”.
Lei beve l’ultimo sorso del bicchiere, si asciuga le labbra con un tovagliolino di carta; lui emette un’ultima nuvola di fumo e svuota la pipa.
La musica jazz inonda il silenzio, la voce nera raccoglie l’attenzione.

Tratto da un incontro del CdFE riadattato da

Fo Elettrica


1 commento:

  1. Stupendo, deja-vu magistrale.
    Conosco due persone che ora inizieranno a fumare con la pipa. :)

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