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sabato 5 marzo 2011

La Paura di Amare

Estratti da "Un coeur en hiver" di Claude Sautet (1992)

Un sentimento come l’Amore viene descritto come quel sentimento capace di spazzare via ogni barriera, invincibile dominatore dello stato d’animo è il baluardo della forza, del coraggio, della volontà di arrivare sempre in fondo, di non arrendersi.
Esso rappresenta già un passo oltre il Sé, una rottura del proprio solipsismo nel movimento verso l’Altro: l’Amore è una scelta, la decisione di aprire le porte della propria intimità ad un Altro, un essere distinto che viene consacrato come unico idolo sull’altare del proprio cuore.
Ma se l’Amore, l’Amare è scelta, si potrebbe però anche indirizzarsi verso la non distruzione del proprio guscio a favore di un rintanarsi in se stessi, tanto più sicuro quanto più si configura come un rifuggire dall’Altro che pure può offrirsi a noi, come un rimanere solo osservatori di un qualcosa che sarebbe potuto essere, ma che non è, o che forse è sempre esistito, ma solo in sogno.
Si sogna infatti di avere una persona accanto, si invidiano coloro che condividono la propria strada e che si sostengono a vicenda, in salute e in malattia.
Molte volte,  si sogna solo.
Già, perché nella propria esistenza questa fantomatica persona non compare ancora, si lascia attendere. Non è questione di aver paura, non è scelta, non è difendersi da un presumibile dolore, è solo il destino che abbandona a se stessi, che non permette possibilità, che impedisce la strada all’Amore nel nostro cuore, o meglio, che lascia soli come cani.
Solo come un cane è anche Stephane, costruttore di violini, destinato a restare per sempre unicamente colui che vive in disparte, artefice indiretto della musica, ma mai sul palcoscenico, puro osservatore, mai protagonista.
L’Amore non può sfiorarlo, non lo ha mai fatto, mai lo farà.
Per questo decide di sedurre chi effettivamente si trova sul palco, ovvero Camille, violinista di successo, e di mantenere nel contempo, nonostante il suo atto di seduzione che è quasi un atto di sfida, di rivalsa nei confronti del proprio essere artigiano e non artefice dell’Arte, il suo ruolo: egli è il costruttore di violini, e il liutaio non è violinista, non vive sulla scena, ma resta dietro, e questo dietro non si riferisce alle poltrone, nemmeno al backstage; egli infatti si situa ancora prima, tra l’albero e lo strumento. Stephane è perciò consapevole a priori dell’impossibilità di un legame tra chi si trova alle origini, nel luogo della creazione della possibilità dell’Arte, e chi invece dell’Arte ne è esecutore, ovvero chi dell’Arte vive, ne fa un’emozione e la trasmette. E questo è semplicemente il suo destino, non si discute.
Eppure sorge spontaneo domandarselo: cosa accadrebbe se in una situazione del genere l’Amore si infiltrasse per vie nascoste nel gioco di seduzione di un uomo irretito nel suo status esistenziale? E se una donna forte e bella scoprisse infine che dietro quel volto scettico e provocatorio, quel cuore di ghiaccio si nasconde una personalità speciale, unica e irripetibile?
Semplice: un bel niente.
A simili vette innevate il disgelo che può portare ad un battito cardiaco è lungo da darsi, quasi impercettibile. E la sensibilità anch’essa è quasi irrecuperabile.
Per Stephane evidentemente l’Amore non basta, ma del resto egli neppure sceglie, semplicemente resta irrigidito sulle sue posizioni, e nemmeno si può far accenno al suo destino, perché è stato proprio quest’ultimo a fargli incontrare Camille.
È chiaro pertanto che il mito dell’Amore forte e imperituro va sfatato: l’Amore non fa proprio un bel niente di per sé, se una persona è terrorizzata dal contatto e congelata nella sua non-accantonabile concezione del mondo allora esso può bensì attraversarla, ma senza alcun risultato.
Pertanto, se proprio c’è bisogno di parlare di un sentimento che muove effettivamente gli animi, allora è necessario riflettere sulla Paura; infatti essa è decisamente una vera leva dell’animo umano. La Paura trascina vorticosamente nelle sue reti, incastra, imbriglia, rende quasi impossibile l’idea di liberarsene, al punto che si dimentica la sua presenza in se stessi e semplicemente la si vive come una condizione esistenziale, una premessa irrinunciabile, un assioma ineliminabile. La Paura, come scrisse Kierkegaard prima di Heidegger, ha sempre un oggetto determinato e pertanto riguarda la dimensione inautentica del nostro esistere. La “paura di qualcosa” porta infatti in sé la consapevolezza da un lato di ciò di cui si ha paura e che paralizza e dall’altro, parallelamente, del fatto che si è pienamente colpevoli di quel sentimento, che è sì immobilizzante, ma teoricamente superabile, dato che l’oggetto, o evento, scatenante è conosciuto. L’emotività della Paura che coinvolge l’uomo porta verso un non-senso, un’autocontraddizione nella natura stessa del soggetto umano, perché egli soffre del suo terrore, che pure potrebbe abbattere.
Stephane ha così paura dell’Amore, paura di Amare, e si barrica nel suo muro di cristallo con le scuse di un carattere difficile, un cuore imperturbabile, un destino già scritto. Ma scoprirà - troppo tardi? - che la paralisi della Paura non abbatte l’Amore una volta che esso si è fatto strada anche dentro un cuore arido come il suo, bensì che essa rende l’allontanarsi di quest’ultimo solo più sonoro, doloroso, irrefrenabile.

Fo Elettrica

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