Esiste un futuro per i giovani italiani?

sabato 7 maggio 2011

Certe volte mi sveglio

Certe volte mi sveglio ma ho paura di aprire gli occhi. Non ho più sonno. Temo di aver fatto tardi. Ma temo anche di essermi svegliato troppo prima. Spero che la sveglia suoni il prima possibile per indicarmi che non ho fatto né tardi né presto. Ma ciò non accade per un tempo che reputo troppo lungo. Allora comincio piano piano ad aprire gli occhi per capire quanta luce filtra dalla finestra. Non ne filtra. E’ ancora buio. Bene ciò vuol dire che non ho fatto troppo tardi. Ma non so esattamente che ore sono. Allora apro gli occhi sempre un po di più, prendo coraggio e guardo l’ora: sono le 4:15. Oggi è andata bene. Avevo puntato la sveglia alle 4:40. Ho sprecato solo 25 minuti di sonno. Lascio mia moglie dormire. Mi alzo senza fare rumore. D’altronde sarebbe una cattiveria svegliarla a quest’ora di sabato mattina. Vado in bagno senza accendere la luce. Non voglio svegliare i bambini. Ormai sono 10 anni che faccio questa vita. So fare tutto anche al buio. Mi preparo esco sono le 5:10. 40 minuti per arrivare al lavoro. L’unica cosa bella dei turni è che esci a degli orari in cui non trovi traffico. Arrivo al lavoro. Guardo i colleghi. Gli occhi sono aperti. Ma vedono solo il minimo indispensabile. Tralasciano il superfluo. Siamo tutti così. Sembriamo dei robot. Meno male che il lavoro che ci fanno fare non richiede attenzione. E’ la classica catena di montaggio. La pensava così anche il Pini. Lo diceva sempre. Io la sera esco. Vengo al lavoro il mattino direttamente dalla discoteca. Be forse quella sera aveva esagerato. Il mattino dopo è finito sotto la pressa. Sono contento di essere restato a casa quel mattino. Non penso che avrei avuto le forze per provare dolore. Sono le due. Siamo tutti in fila davanti alla timbratrice. Sembriamo tanti Fantozzi ancora più tristi. Aspettiamo il nostro turno per timbrare e tornare a casa. Arrivo a casa. I bambini ridono, urlano mi abbracciano. Io faccio le cose per inerzia. Gli urlo di non fare casino. Mi pento di averli strillati. Ho sonno. Voglio andare a dormire. Alle 22:00 mi aspetta il turno di notte. I bambini mi guardano perplessi. Il piccolo mi chiede perché vado a dormire il pomeriggio. Non so cosa rispondergli. Mia moglie mi salva. Gli dice di lasciare stare papà. Gli promette di portarli fuori.
Io vado a dormire.
Certe volte mi sveglio ma ho paura di aprire gli occhi. Non ho più sonno. Temo di aver fatto tardi. Ma temo anche di essermi svegliato troppo prima. Spero che la sveglia suoni il prima possibile per indicarmi che non ho fatto ne tardi ne presto. Ma ciò non accade per un tempo che reputo troppo lungo. Allora comincio piano piano ad aprire gli occhi per capire quanta luce filtra dalla finestra. Ne filtra un po’. Bene ciò vuol dire che non ho fatto troppo tardi. Ma non so esattamente che ore sono. Allora apro gli occhi sempre un po' di più, prendo coraggio e guardo l’ora: sono le 20:15. Oggi è andata bene. Avevo puntato la sveglia alle 20:30. Ho perso 15 minuti di sonno. Vado in cucina. Mangio con la famiglia. Mi sforzo di mangiare. Non ho fame appena sveglio. Ma una volta ogni tanto fa piacere mangiare tutti insieme. Non faccio in tempo a prendere il caffè. Sono le 21:10. Devo uscire. Arrivo al lavoro. Guardo i colleghi. Gli occhi sono aperti. Ma vedono solo il minimo indispensabile. Timbriamo. Ci andiamo a cambiare. Prendiamo posto in fabbrica. Cominciamo a contare il tempo che ci manca prima di uscire. Sono le sei. Siamo tutti in fila davanti alla timbratrice. Sembriamo tanti Fantozzi sempre più tristi. Mi metto in macchina. Comincia ad albeggiare. Arrivo a casa. Mentre mi preparo per andare a dormire. I bambini si svegliano non voglio guardarli negli occhi.
Certe volte mi sveglio ma non ho paura di aprire gli occhi. Non ho più sonno. Non temo di aver fatto tardi. Non temo neanche di essermi svegliato troppo prima. Non spero che la sveglia suoni il prima possibile per indicarmi che non ho fatto né tardi né presto. Guardo la sveglia. Sono le 10:00. Oggi sono di riposo. Mi alzo. Accendo le luci. Non mi preoccupo di far rumore. In casa non c’è nessuno. Mia moglie è al lavoro. I bambini sono a scuola. Io sono di riposo. Penso che avrei preferito andare al lavoro. Mi affaccio in balcone. Il portiere mi guarda. Non mi saluta. Sono 10 anni che vivo in questa palazzina a Milano. Le persone ancora non mi salutano. Non si salutano neanche fra di loro. Il portiere starà pensando ancora una volta che mi hanno licenziato. E’comprensibile. E martedì e sono a casa. Guardo il cielo. E’ grigio. Fra poco pioverà. Sabato e domenica che ero al lavoro c’era il sole. Dio non fa i turni.
Certe volte non vorrei svegliarmi. Vorrei essere svegliato dall’odore del caffè che pervade l’aria. Vorrei essere svegliato dalla mia giovane cameriera che mi accarezza la spalla dicendomi:
Direttore, è tardi oggi deve andare in fabbrica. Ed io vorrei girarmi dall’altra parte con il sorriso sulla bocca e rispondergli. Non ti preoccupare, Io non ho il cartellino da timbrare come i miei dipendenti.
Certe volte mi sveglio ma ho paura di aprire gli occhi. Non ho più sonno. Temo di aver fatto tardi. Ma temo anche di essermi svegliato troppo prima. Spero che la sveglia suoni il prima possibile per indicarmi che non ho fatto né tardi né presto. Ma ciò non accade per un tempo che reputo troppo lungo. Allora comincio piano piano ad aprire gli occhi per capire quanta luce filtra dalla finestra. Non ne filtra. E’ ancora buio. Bene ciò vuol dire che non ho fatto troppo tardi. Ma non so esattamente che ore sono. Allora apro gli occhi sempre un po' di più, prendo coraggio e guardo l’ora: sono le 4:15. Oggi è andata bene. Avevo puntato la sveglia alle 4:40. Ho sprecato solo 25 minuti di sonno. Lascio mia moglie dormire. Mi alzo senza fare rumore. D’altronde sarebbe una cattiveria svegliarla a quest’ora di sabato mattina. Vado in bagno senza accendere la luce. Non voglio svegliare i bambini. Ormai sono 10 anni che faccio questa vita. So fare tutto anche al buio. Mi preparo esco sono le 5:10. 40 minuti per arrivare al lavoro. L’unica cosa bella dei turni è che esci a degli orari in cui non trovi traffico. Arrivo al lavoro. Guardo i colleghi. Gli occhi sono aperti. Ma vedono solo il minimo indispensabile. Tralasciano il superfluo. Siamo tutti così. Sembriamo dei robot. Meno male che il lavoro che ci fanno fare non richiede attenzione. E’ la classica catena di montaggio. La pensava così anche il Pini. Lo diceva sempre. Io la sera esco. Vengo al lavoro il mattino direttamente dalla discoteca. Be forse quella sera aveva esagerato. Il mattino dopo è finito sotto la pressa. Sono contento di essere restato a casa quel mattino. Non penso che avrei avuto le forze per provare dolore. Sono le due. Siamo tutti in fila davanti alla timbratrice. Sembriamo tanti Fantozzi ancora più tristi. Aspettiamo il nostro turno per timbrare e tornare a casa. Arrivo a casa. I bambini ridono, urlano mi abbracciano. Io faccio le cose per inerzia. Gli urlo di non fare casino. Mi pento di averli strillati. Ho sonno. Voglio andare a dormire. Alle 22:00 mi aspetta il turno di notte. I bambini mi guardano perplessi. Il piccolo mi chiede perché vado a dormire il pomeriggio. Non so cosa rispondergli. Mia moglie mi salva. Gli dice di lasciare stare papà. Gli promette di portarli fuori.
Io vado a dormire.
Certe volte mi sveglio ma ho paura di aprire gli occhi. Non ho più sonno. Temo di aver fatto tardi. Ma temo anche di essermi svegliato troppo prima. Spero che la sveglia suoni il prima possibile per indicarmi che non ho fatto né tardi né presto. Ma ciò non accade per un tempo che reputo troppo lungo. Allora comincio piano piano ad aprire gli occhi per capire quanta luce filtra dalla finestra. Ne filtra un po’. Bene ciò vuol dire che non ho fatto troppo tardi. Ma non so esattamente che ore sono. Allora apro gli occhi sempre un po' di più, prendo coraggio e guardo l’ora: sono le 20:15. Oggi è andata bene. Avevo puntato la sveglia alle 20:30. Ho perso 15 minuti di sonno. Vado in cucina. Mangio con la famiglia. Mi sforzo di mangiare. Non ho fame appena sveglio. Ma una volta ogni tanto fa piacere mangiare tutti insieme. Non faccio in tempo a prendere il caffè. Sono le 21:10. Devo uscire. Arrivo al lavoro. Guardo i colleghi. Gli occhi sono aperti. Ma vedono solo il minimo indispensabile. Timbriamo. Ci andiamo a cambiare. Prendiamo posto in fabbrica. Cominciamo a contare il tempo che ci manca prima di uscire. Sono le sei. Siamo tutti in fila davanti alla timbratrice. Sembriamo tanti Fantozzi sempre più tristi. Mi metto in macchina. Comincia ad albeggiare. Arrivo a casa. Mentre mi preparo per andare a dormire. I bambini si svegliano non voglio guardarli negli occhi.
Certe volte mi sveglio ma non ho paura di aprire gli occhi. Non ho più sonno. Non temo di aver fatto tardi. Non temo neanche di essermi svegliato troppo prima. Non spero che la sveglia suoni il prima possibile per indicarmi che non ho fatto né tardi né presto. Guardo la sveglia. Sono le 10:00. Oggi sono di riposo. Mi alzo. Accendo le luci. Non mi preoccupo di far rumore. In casa non c’è nessuno. Mia moglie è al lavoro. I bambini sono a scuola. Io sono di riposo. Penso che avrei preferito andare al lavoro. Mi affaccio in balcone. Il portiere mi guarda. Non mi saluta. Sono 10 anni che vivo in questa palazzina a Milano. Le persone ancora non mi salutano. Non si salutano neanche fra di loro. Il portiere starà pensando ancora una volta che mi hanno licenziato. E’comprensibile. E martedì e sono a casa. Guardo il cielo. E’ grigio. Fra poco pioverà. Sabato e domenica che ero al lavoro c’era il sole. Dio non fa i turni.
Certe volte non vorrei svegliarmi. Vorrei essere svegliato dall’odore del caffè che pervade l’aria. Vorrei essere svegliato dalla mia giovane cameriera che mi accarezza la spalla dicendomi:
Direttore, è tardi oggi deve andare in fabbrica. Ed io vorrei girarmi dall’altra parte con il sorriso sulla bocca e rispondergli. Non ti preoccupare, Io non ho il cartellino da timbrare come i miei dipendenti.


Roberto Di Giuseppe

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