Esiste un futuro per i giovani italiani?

domenica 15 maggio 2011

Che cosa fai da grande?

Intro. Qualche pensiero sul “lavoro”…
Passeggiando per le strade del centro della propria città, può capitare che lo sguardo cada sulle lastre di marmo appese agli edifici che fanno angolo tra una via e l’altra, che riportano il nome delle vie. Via dei calzolai, Via degli artigiani, Via delle botteghe, Via dei falegnami, Via dei cestari, Via degli artisti, Via dei barbieri… e subito ci si immaginano tempi passati in cui la via era piena di botteghe di scarpe, di segherie, e via di questo passo. Le persone che lavorano in queste vie sono “il calzolaio”, “il barbiere”… sembra quasi che il loro ruolo sia parte di loro, che siano nati per fare quello, che non abbiano quasi un nome, ma che il lavoro che fanno sia la loro identità. Tante volte anche nelle nostre città o paesi, certe persone sono identificate col mestiere. “Chi è quello?” “È il medico”, oppure, “è il maestro delle scuole elementari”… Accanto ad altre cose – come la famiglia, tutte le altre relazioni, la storia personale, ecc. – il lavoro è uno di quegli elementi che costituiscono le persone. Il lavoro fa essere uomini, dà un ruolo nella società e crea le personalità.
Lavoro per realizzarmi
Il lavoro occupa uno spazio molto importante nella vita delle persone, sia in termini di tempo speso per esso, sia in termini di impegno fisico e mentale richiesto. Di fronte ad un così grande impegno, viene spontaneo chiedersi: “Ma in fondo, perché si lavora? A cosa serve lavorare?” La risposta più immediata che può venire è che il lavoro serve per guadagnarsi da vivere, è una necessità che tutti prima o poi devono riconoscere. In effetti questa è la risposta più giusta e più vera che si può dare. Ma il lavoro e la professione, non sono solo una attività per fare soldi, “lavorare” non significa solo questo. Se così fosse non si spiegherebbe come mai alcune persone preferiscano rinunciare a mestieri più remunerativi, nei quali si guadagna di più, per altri meno pagati e magari con meno prospettive di crescita di guadagno, o perché altri lascino il loro lavoro per investire i propri soldi, il proprio tempo e le proprie energie per portare avanti un loro “sogno lavorativo”.
Il lavoro è anche altro, dunque. Lavorare non significa soltanto trasformare “la materia” in qualcosa di utile per l’uomo, o eseguire una operazione che provoca un effetto, bensì significa anche “trasformare” se stessi e “operare” su se stessi. Praticando una attività – di qualsiasi genere questa sia, dal ciabattino al professore universitario di storia, dall’ingegnere al barista – si è obbligati a utilizzare quelle che sono le proprie energie, le proprie capacità, il proprio corpo e la propria mente, “ci si applica”. Il lavoro è un “fare” che richiede un impegno ed un investimento personale nel quale ci si mette in gioco, si mettono in gioco le proprie caratteristiche, le proprie capacità, si mette a frutto e si applica il proprio sapere, ciò che si è imparato alle scuole superiori ed all’università, ma anche tutto ciò che si è imparato fuori da questi ambienti. Inoltre lavorando si continua ad imparare, sorgono nuove domande, crescono nuovi interessi legati all’attività in corso, e si ha la possibilità di studiare capire ed apprendere nuove cose.
 “Lavorare stanca”. È vero, il lavoro di sicuro non è una attività riposante, bensì implica un dispendio di energie, fisiche e/o mentali. Ma allora vuol dire che l’ideale sarebbe non lavorare? Forse che chi non lavora (non perché non ne ha le possibilità, ma perché ha le possibilità economiche e sociali per non farlo) è più “fortunato”? No! Infatti come dicevamo prima, il lavoro è l’attività che ci permette di realizzare noi stessi. Certo, come dice anche la Dottrina Sociale della Chiesa, pur non essendo l’unica attività che realizza l’essere umano, tuttavia è una delle principali. Un filosofo dell’ottocento, G.W.F. Hegel, parlando del conflitto tra “servo e padrone”, dice che soltanto apparentemente il padrone – che vive grazie al lavoro del servo, e quindi non lavora -  è avvantaggiato, in quanto, oltre a non essere autosufficiente, il padrone rinuncia anche a “costruire se stesso”, cosa che invece il servo fa ogni giorno “dando forma alla materia”, cioè lavorando.
Il lavoro è quindi un elemento costitutivo dell’uomo, si lavora non solo per guadagnare soldi, non solo per “necessità”, non per sopravvivere, bensì per vivere, perché il lavoro permette di mettere in gioco ciò che siamo e di costruire ciò che vogliamo essere.
Lavoro per e con gli altri
L’articolo 1 della Costituzione dice: “L’Italia è una repubblica democratica FONDATA SUL LAVORO”. Il lavoro è quindi la base, il fondamento della società civile. Questo articolo ci fa pensare ad una cosa importante. Non siamo soli a questo mondo! La costituzione è la carta che regola la convivenza dei cittadini italiani, e proprio questa carta nel primo articolo dice che il fondamento della repubblica è il lavoro. Questo significa che il lavoro è attività fondamentale per la costruzione della società. Riprendendo il discorso fatto prima, il lavoro è una attività che permette di costruire non solo oggetti o prodotti esterni, bensì anche noi stessi. E questo “noi” è da intendere appunto come un insieme di persone. Lavorare significa appunto ricoprire un ruolo nella società, avere un compito ben preciso.
La stessa Costituzione continua a trattare del lavoro all’articolo 4, che dice:
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
Il lavoro è dunque da una parte un diritto inviolabile, ed è compito della Repubblica garantirlo per ogni cittadino; dall’altra è un dovere del cittadino stesso, di concorrere, ognuno secondo i propri talenti e capacità, alla costruzione della società. Per capire meglio cosa la Costituzione intende dire quando afferma che il lavoro è sia un diritto che un dovere, pensiamo al problema della disoccupazione: questa è sempre una “patologia”, qualcosa di negativo, perché se volontaria va contro ad un dovere, se involontaria, la Repubblica ha il compito di eliminarla.
La Costituzione si occupa poi del lavoro negli articoli dal 35 al 40. Questi sostanzialmente difendono i diritti dei lavoratori, per quanto riguarda la retribuzione, le ore di lavoro, la rappresentanza sindacale, la tutela dei soggetti inabili.
Nella nostra Carta costituzionale non ci sono dunque soltanto norme specifiche, ma si trova anche una idea precisa del lavoro: è un bene da tutelare sia perché è la massima realizzazione dell’individuo in quanto tale, sia perché è lo strumento col quale ognuno può concorrere, coi suoi mezzi, alla costruzione del bene comune.
È quindi un “servizio” agli altri: con le nostre competenze e la nostra attività lavorativa possiamo migliorare, trasmettere, progettare, custodire, costruire, inventare a vantaggio delle persone e del progresso della società. Come diceva don Lorenzo Milani, “il sapere serve solo per darlo”. Se questo è vero, bisogna anche trovare una forma per mettere in pratica le conoscenze apprese a scuola, ed è proprio grazie al lavoro che possiamo rendere concreta questa grande massima. Lavorare è un modo concreto con cui prendersi anche cura degli altri. Il lavoro non è orientato soltanto al guadagno, e nemmeno solo alla realizzazione personale. E questo vale per ogni tipo di lavoro. Non solo il medico “aiuta” gli altri, non solo l’”insegnante” fa un mestiere utile per il bene di tutti.
Ma gli altri non si incontrano solo come “destinatari” del lavoro. Gli altri si incontrano anche “sul” lavoro. Il lavoro avviene in comunità, si lavora sempre insieme ad altri, si lavora “con” altri. Questo è un elemento importante da sottolineare del lavoro, tant’è che senza questa componente del lavoro (quella del rapporto coi colleghi, coi clienti, con “gli altri” insomma) si fraintende, non si capisce cosa sia “lavorare”.  Non si lavora da soli, insomma, ma in comunità. Lavorare “con gli altri” porta con sé tutte le dinamiche tipiche delle relazioni.
Lavoro scelto o lavoro obbligato
Dopo aver delineato il lavoro come necessario per vivere, come mezzo di realizzazione personale e come strumento di costruzione del bene comune, nel momento della scelta ci troviamo davanti ad un muro insormontabile, che non avevamo previsto, e di fronte al quale tutti i discorsi fatti prima sembrano frantumarsi e rivelarsi inconsistenti. Il muro è quello della difficoltà di trovare un lavoro, e del limite delle opzioni di lavoro che ci sono poste davanti al momento della scelta. Sembra quasi che sia impossibile che il lavoro venga scelto, piuttosto bisogna “cercare” il lavoro e firmare, senza pensarci due volte, il primo contratto che viene offerto.
Posto che il lavoro è un diritto, e che quindi l’assenza di opportunità lavorative è un male che lo Stato deve impegnarsi a debellare, e che la situazione di crisi economica dei nostri giorni, non rende più semplici le cose, non bisogna scoraggiarsi! Scegliere il lavoro è una operazione dinamica. Significa coltivare un sogno, e si sa che i sogni non si realizzano facilmente. Anche se il primo lavoro non corrisponde alle proprie intenzioni, è importante non perdere, e non dimenticare i propri desideri, i propri interessi. Questo non significa accontentarsi di ciò che capita e rimandare “il lavoro dei sogni” in un futuro forse inesistente.
“Creazione” o “esecuzione”
Il lavoro non va soltanto “cercato”, ma va anche in un certo senso “inventato”. Non è questione solo di “esecuzione”; ma anche di “creazione”. Proprio perché attraverso l’attività lavorativa si ha la possibilità di mettere in gioco se stessi, proprio perché è l’occasione di costruire noi stessi, lavorare è (o dovrebbe essere) una attività che viene da noi stessi, di cui siamo gli autori, di cui “rivendichiamo la paternità”. Ovviamente questo non significa che i lavori più dignitosi sono solo quelli “in proprio” o quelli “autonomi”, bensì che è importante che in qualsiasi lavoro non ci si limiti ad eseguire un compito, come fossimo delle macchine. Lavorare significa mettere in gioco la propria dinamicità, le proprie idee e la propria passione. Non esiste lavoro più dignitoso di un altro, per il quale valga maggiormente la pena faticare. Il lavoro ha una dignità che va oltre a ciò che produce, in quanto serve a formare la persona stessa.
Stefano Veluti

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