Esiste un futuro per i giovani italiani?

mercoledì 25 maggio 2011

"Poi vedo". Ovvero, rinviare

Il punto di partenza di questa inchiesta, condotta alla fine del 2007, dunque prima che scoppiasse la crisi economica internazionale che stiamo vivendo e che senza dubbio aggrava la situazione, sta nella constatazione che feci a me stessa dopo aver saputo di una giovane che assumeva un lavoro del tutto avulso dalle sue competenze: un’altra laureata che diventa commessa!
Fatti del genere si verificavano frequentemente, nella cerchia delle mie conoscenze e non solo. Di solito la si definiva un’occupazione provvisoria, ma intanto pareva che nel mio territorio i giovani che svolgevano un lavoro coerente con gli studi intrapresi fossero mosche bianche. Quali i punti deboli del sistema? La scuola? Un orientamento scadente nei nodi di passaggio tra un livello e l’altro, tra un ciclo d’istruzione e l’altro? Lo scarto tra la secondaria e l’università e tra questa e il mercato del lavoro? La mancanza di programmazione a livello di formazione? Gli scarsi investimenti in ricerca, sviluppo e capitale umano? I contratti sfavorevoli, i cosiddetti atipici? La concorrenza internazionale? La carenza di posti di lavoro qualificati, visto che si trattava di laureati? C’entravano qualcosa le aspettative mal riposte dei genitori verso i figli, in molti casi il figlio unico?
Non era semplice rispondere.
Il confronto con aree emergenti quali la Cina e l’India risultava particolarmente stridente. Là  senza dubbio c’erano meno laureati rispetto al nostro paese e dunque le due realtà non potevano essere raffrontate alla pari, ma colpiva il divario rovesciato tra “noi” e loro: grande dinamismo economico da un lato, il loro, e mancanza di prospettiva dall’altro, il nostro. A diciassette anni là erano pronti a inserirsi nel mondo del lavoro - diciassettenni fra l’altro straordinariamente numerosi! – a trentacinque qua ci si guardava ancora intorno. Per quei milioni di ragazzi e ragazze i percorsi formativi, scolastici e professionali erano più semplici e mirati: li sosteneva la necessità primaria di rendersi indipendenti. Paradossalmente i nostri giovani, con famiglie più solide sul piano economico e maggiori opportunità formative, erano al palo.
Dunque, paese vecchio e incapace di progettare il futuro, questa l’idea che mi ero fatta dell’Italia. Paese in decadenza, incapace di far fronte ai cambiamenti che si rendono necessari in una logica di sviluppo integrato e sostenibile, l’unica capace di reggere la sfida del futuro.
Il discorso poteva portarmi lontano e fuori dalle mie competenze – storico-filosofiche e non economiche o sociologiche – per cui andava delimitato il campo. Era già molto se riuscivo a verificare come veniva vissuta dai diretti interessati quella discrasia tra percorso formativo e sbocco professionale che andavo riscontrando in molte storie personali. I giovani magari erano contenti di mettersi alla prova, di dimostrare disponibilità al cambiamento, adattabilità, iniziativa, fantasia e coraggio, poteva essere così. Io però, da vecchia insegnante, vedevo anche uno spreco di risorse, uno sperpero “da ricchi” in questo continuo rimescolare le carte. Dipendenza dai genitori, perdita di anni e di energie, precarietà, rinvio di scelte lavorative e di vita quali il matrimonio e i figli: un pericoloso declino. Mi tornavano in mente altre epoche di decadenza, quella dell’Impero romano ad esempio, e la fine ingloriosa di certe dinastie nobiliari.
L’idea delle interviste è nata così. Volevo incontrare i diretti interessati, scoprire come percepivano la mancanza di linearità del loro curriculum formativo o professionale e quali circostanze avevano condizionato la scelta di abbandonare la strada intrapresa inizialmente. Volevo sapere se erano soddisfatti di ciò che facevano e cosa si aspettavano dal futuro. Volevo verificare se la “durezza” oggettiva del mondo – quel mondo adulto che si ostina a ignorarli, che prolunga la vita lavorativa degli occupati tenendo fuori le nuove generazioni - era stata l’ostacolo determinante. Mi sono confrontata con fonti autorevoli quali Almalaurea e Censis, in particolare il Convegno “Dall’università al lavoro in Italia e in Europa”, risultati della IX indagine di AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei giovani, Bologna, 2-3 marzo 2007. Infine ho raccolto dati sulla situazione occupazionale nella mia provincia - Rimini - all’epoca: su 100 nuove assunzioni, l’industria locale chiedeva solo 6 laureati; la richiesta di diplomati saliva dal 27 al 38% delle nuove assunzioni; un lavoro a tempo indeterminato nelle imprese locali era previsto solo per uno su quattro; aumentavano le tipologie di lavoro precario: dal 2001 al 2005 i parasubordinati passavano da 11 a 29 mila.

Lidia Mali

Di seguito, un’idea dell’intervista (stralcio):
-       Competenze acquisite che non metti a frutto nel lavoro attuale, che metti a frutto o di cui senti la mancanza.
-       Progetti per il futuro. Rammarichi
-       Quando e come hai deciso di cambiare strada.

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